venerdì, Aprile 26, 2024

La scrittrice Dacia Maraini riceve il Premio Internazionale Dialoghi di Pistoia

di Marta Meli

PISTOIA – “Dove c’è il dialogo non c’è la guerra, perché quando si prende in considerazione l’altro, e ci mettiamo in ascolto, si fa posto al mezzo più potente al quale non dovremmo mai rinunciare”.

Ha esordito così Dacia Maraini, subito dopo il conferimento del Premio Internazionale Dialoghi di Pistoia.

La cerimonia di premiazione si è tenuta ieri sera in piazza Duomo, nella seconda giornata dedicata al festival. A seguito dell’assegnazione, l’autrice ha parlato – assieme allo scrittore e critico Paolo Di Paolo – dell’Elogio dell’immaginazione, ripercorrendo storie di vita e di dedizione, tra i misteri, le radici, i drammi e la quotidianità.

Dacia Maraini (al centro) riceve il Premio Internazionale Dialoghi di Pistoia (foto di Giovanni Fedi)

“Erede della tradizione cosmopolita di ispirazione libertaria che si incarna nobilmente nella figura di suo padre, il grande antropologo, etnologo e orientalista Fosco Maraini; dopo aver conosciuto nella più tenera infanzia la guerra e la fame, si è conquistata un ruolo centrale nella nostra scena intellettuale e letteraria grazie a un’ampia e variegata produzione narrativa e saggistica – si legge in un estratto della motivazione del Premio – una magnifica e amatissima narratrice, capace di coniugare la più ampia e distesa leggibilità con uno scavo storico accuratissimo, una ricerca letteraria sofisticata e versatile, un approccio originale alla scrittura poetica, ma anche a quella per il teatro e il cinema. E poi un costante e rigoroso impegno sociale e civile che si sostanzia da decenni in frequenti interventi pubblici in difesa dei più deboli e dei loro diritti”.

“Credo che tutti gli esseri viventi abbiano un senso di giustizia, anche gli animali – ha detto l’autrice – e questo ha a che vedere con l’atto di ribellarsi a ciò che contrasta quella virtù che continuiamo a coltivare”.

Dacia Maraini ripercorre le memorie legate agli anni dell’infanzia, fatte di immagini vive e di viaggi, di miserie, di violenza, di atrocità, di dolore e di sopraffazione. Questo è un modo per capire quanto il valore delle proprie idee si esprima e si condensi nella spinta a preservarle, a mantenerle vive e alte, anche quando ti comandano di non farlo. La possibilità, il cambiamento, la dissoluzione di un ordine imposto consistono proprio in questo. Ne sono un grande esempio il coraggio e la forza dalla madre di Maraini, Topazia Alliata (pittrice, gallerista e scrittrice), che si rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò e scelse di non “farsi inchiostro” su quella carta. Decise di non firmare, di rimanere salda, perché “l’odio razziale non avrebbe potuto mai superarlo”.

“Ho fatto molte ricerche su chi ha subito ingiustizie – ha raccontato la scrittrice – sulle carceri, sui manicomi, sulle persone senza dimora, sulle donne”.

“Penso anche alla storia di Camille Claudel che venne rinchiusa in un manicomio – ha aggiunto – una prova dell’ennesima ingiustizia subita”.

Una figura poliedrica, Maraini, che ha dedicato – con ogni mezzo – tutta la sua vita a quell’idea di giustizia, capendo quanto sia essenziale, in ogni tempo, raccontare quelle storie. Così, conservare la memoria di quei luoghi del dolore significa proteggere il presente e aver cura delle storie che verranno.

C’è un romanzo dell’autrice, intitolato Colomba, che offre un’occasione per ripensare la realtà. È una “storia di storie” che si collega proprio a questo senso dell’ascolto, della continua ricerca, del ricordo, del confronto, dell’accoglienza e dell’immaginazione. “Quando le chiedono come nasce un suo romanzo – si legge nell’incipit del libro – la donna dai capelli corti risponde che tutto comincia con un personaggio che bussa alla sua porta. Lei apre. Il personaggio entra, si siede”.

La letteratura ci insegna ad aprire le porte all’immaginazione, ma cosa significa questo? Che tipo di possibilità restituisce l’atto di immaginare?

È un dono di cui dovremmo servirci. È la capacità di avvicinarci alla sofferenza degli altri e delle altre: aiuta a uscire dagli stereotipi, a maturare consapevolezza, ad avvicinarci alla lealtà e all’empatia, a renderci indipendenti e responsabili.

“Oggi, dovremmo cercare un confronto fondato sulle idee, non sugli insulti e le denigrazioni – ha concluso l’autrice – il tipo di linguaggio che utilizziamo e il modo in cui comunichiamo ci servono per stare al mondo, come anche credere nella sacralità della persona che merita rispetto, anche se non la pensa come noi”.

Sviluppare un forte senso di responsabilità è fondamentale, per questo “dobbiamo essere capaci di immaginare le conseguenze delle nostre azioni”.

Dobbiamo evitare di affondare in un “destino” creato e voluto dall’abulia, vinto dall’indifferenza. Un “destino” che però ci riguarda e che possiamo cambiare. Diventa “strumento”, allora, questo flusso di idee e di memorie. E narrare, per rifuggire “un inferno che non migliora la gente/ come si crede, ma la rende pigra/ malata e nemica di se stessa” – come recitano gli ultimi versi de Le poesie delle donne di Dacia Maraini – è più che mai indispensabile.

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