mercoledì, Maggio 8, 2024

Mario Carnicelli presenta “Nous”: in un libro la sua vita da fotografo

PISTOIA – In un evento organizzato dal Gruppo Fotoamatori di Pistoia è stato presentato, alla sala soci della Coop, il libro “Nous” di Mario Carnicelli.

Il libro, curato da Bärbel Reinhard e Marco Signorini, è stato pubblicato in due versioni, una in francese e l’altra in italiano per i tipi di Contrejour. Si divide in due parti, la prima è dedicata alle foto scattate in occasione del funerale di Togliatti, nella seconda ci sono foto degli USA e di altri Paesi del mondo.

Il fotografo Mario Carnicelli e alcuni momenti della presentazione del libro (foto di Stefano Di Cecio)

Alla presentazione, oltre ovviamente all’autore, erano presenti i curatori del libro e per il Gruppo Fotoamatori Pistoiesi la Presidente Sara Del Sarto e Paolo Fichera che ha svolto il ruolo di moderatore.

“Nous, ovvero noi, è un titolo breve” dice Carnicelli, “ma infinito al tempo stesso. Il risultato di un immagine non si vede subito, continua, ci vuole tempo per sapere come va a finire. Io stesso dopo cinquant’anni ho riscoperto delle cose in archivio che avevo scartato, dopo anni rinascono e si attualizzano. La foto non la devi cercare, la foto ti si presenta ed è questa la magia. Se vuoi essere universale parla del tuo villaggio (Tolstoj) ed il nostro è il pianeta terra. Vedo le immagini ed è come se fosse la prima volta. Mi emozionano sempre”. 

E’ come un vino che ha bisogno di invecchiare?

Sì, Bärbel ha riscoperto le foto fatte al funerale di Togliatti – Ci sei rimasto seduto sopra per cinquant’anni e non te ne sei accorto? Mi ha detto – Sono importanti per la storicità che hanno. Come faccio a scegliere? L’imprevisto si incontra per la strada, certe volte mi chiedo anch’io come ho fatto.

E’ come l’amore, non si cerca ma accade. Quando ti presenta qualcosa da fotografare non devi pensare a scegliere, la cosa più importante è scattare. Dopo vedere cosa hai fatto, ma lì per lì si scatta. L’archivio è vivo, ha il cuore pulsante, non muore mai, anzi, si attualizza. Ricreare un microcosmo esemplare.

Mi stupisco dell’interesse che possano ancora suscitare le mie foto. Evidentemente ritroviamo atmosfere, emozioni e momenti che fanno parte della nostra storia e della nostra quotidianità, siamo noi insomma. L’immagine non appartiene a chi la fa ma a chi le guarda, a chi se ne appropria. Una sfilata di mucche non è la stessa cosa per un macellaio o un indiano, ogni persona vede cose che altri non vedono.

Questo scatolone, scrigno, gelosamente conservato…

E’ stata Bärbel che le ha riordinate con cura, in maniera scientifica. Queste foto appartengono a tutti noi. Erano negativi, intuivo l’importanza di avere questo materiale, e pensavo: ecco è il decimo anno dell’anniversario del funerale le tiro fuori, poi invece è arrivato il ventesimo, poi il trentesimo, poi arrivò il cinquantesimo ed allora è stata fatta una mostra al Palazzo Fabroni dove poi alcune delle foto sono state collocate maniera permanente.

C’è voluto un po’ ma è venuto bene, quindi Bärbel ti sei imbattuta in questo tesoro…

Sì, ho lavorato per diversi anni nel negozio di Mario in Piazza Duomo a Firenze, non sapevo fosse un fotografo di questo calibro, l’ho scoperto quando ho trovato queste scatole, alcune buttate lì a caso, muffa, umidità ma è stata una scoperta bellissima. Mi sono immediatamente innamorata della forza di queste immagini. C’era qualcosa di estremamente attuale che mi ha colpito nel profondo. La perfezione della composizione, spontanea, naturale, sincera e la totale assenza di voyeurismo.

Mario evidenzia un’esperienza, un mondo e le foto sono una soglia da cui lui ci tira dentro, e sono felicissima di aver riscoperto un archivio che non ha senso tenere nascosto, appartiene a tutti.

Mario usava già il colore negli anni Sessanta e da questo punto di vista è stato un precursore perché all’epoca veniva usato raramente in fotografie di questo genere. 

A prescindere dalle mostre fatte a Palazzo Fabroni e a Montecitorio, tutti i premi e le recensioni giornalistiche sono pervenute dall’estero perché le immagini hanno una forza che fa innamorare chi le guarda a prescindere dal documento storico.

Sono grata per aver avuto la possibilità di conoscere Mario non solo come “capo” che ha sempre avuto la sensibilità di riconoscere le persone anche fra le moltissime che frequentavano il negozio in piazza del Duomo con spontaneità. Pur stampando  tantissime foto per gli altri non l’aveva fatto ancora per le sue.

Mario, hai vinto anche un premio in Francia nel 2022

Del premio europeo Prix Viviane Esders l’artefice è stata Bärbel, io non sapevo niente. Continua Bärbel: c’era questo bando ed io mi sono permessa di inviare la domanda di partecipazione. Dopo qualche settimana è arrivata per telefono la richiesta di poter conoscere il fotografo, a questo punto ho dovuto dirlo a Mario: sei nella rosa di cinque fotografi europei selezionati sul oltre trecento. Poi fra i cinque sono stato scelto io, riprende Mario, scelta non facile per i francesi riconoscere un italiano. Nella giuria c’era anche Charlotte Rampling, ed anche lei si innamorò delle foto ed ha contribuito affinché il premiato fossi io.

Il tuo primo impatto con la realtà americana?

L’America si presta bene ad essere fotografata con i suoi pro ed i suoi contro, era il 1967, mi ritrovai in mezzo alla campagna elettorale di Nixon per la rielezione, la guerra in Vietnam, le proteste degli studenti, una miniera di immagini che forse faranno parte del prossimo libro.

L’America a volte appare ordinata altre volte no, l’uomo e le sue ansie, speranze ed attese sono le stesse in tutto il mondo.

Altri ricordi?

La mia prima mostra fotografica è stata allestita al grattacielo Pirelli a Milano, il titolo era “La psicologia della folla”. Grazie anche a quella mostra ebbi poi l’incarico dalla Federazione Toscana del PCI di fotografare il funerale di Togliatti. Pensai di fare le foto alla gente, ai partecipanti. Un milione di persone ma quello che mi è rimasto impresso è il silenzio, non si sentiva volare una mosca, erano venuti da tutta Europa, anche le vedove dei minatori della strage di Marcinelle in Belgio. Tutti vestiti come si fa a un funerale o a un matrimonio, fustagno e cravatta.

Mi venne naturale fare quelle foto, fatte a chi partecipava “davvero”. C’erano tutti i capi del socialismo mondiale, anche Breznev. Arrivai a Roma due giorni prima del funerale e alla sede del PCI conobbi Renato Guttuso anche lui presente per dare una mano.

Durante il funerale, poi, ai lati della bara c’era una guardia d’onore, e vidi Guttuso. Si ricordò di me nella sua grande opera pittorica “Il funerale di Togliatti” mettendo, fra altri personaggi noti e meno noti, un fotografo ovvero me.

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