PRATO – Antonio Cecchi morì il 10 marzo del 2020 nell’incendio che devastò l’appartamento dove aveva la residenza con il fratello Lamberto e la cognata. L’operaio in pensione, allora 69enne, disabile, viveva al primo piano di una palazzina di edilizia residenziale pubblica in via Andrea da Quarrata. Adesso il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione perché è impossibile con certezza le cause del rogo. Insomma: nessun colpevole.
Intanto il fratello e la cognata, che vivono da più di due anni in un monolocale, avranno un alloggio che il Comune ha loro assegnato, ma vuoto, e la coppia non ha i mezzi per arredarlo.
Nei giorni scorsi è stata invitata la Pec nella quale la dott.ssa Carolina Dini, Pubblico ministero della Procura di Prato, titolare del relativo fascicolo contro ignoti per le ipotesi di reato di omicidio colposo e anche di incendio ai danni del Comune (l’Epp è a totale partecipazione pubblica), ha comunicato di aver presentato richiesta di archiviazione del procedimento al Gip, che dovrà pronunciare l’ultima parola.
Il rogo era scoppiato alle 21.30. I vigili del fuoco, che impiegarono oltre un’ora per spegnerlo, riuscirono a mettere in salvo tutti gli altri condomini, molti dei quali al loro arrivo erano affacciati dai balconi e chiedevano aiuto impossibilitati a scendere a causa del fumo che aveva invaso il vano scale, compresi il fratello e la cognata della vittima: 13 persone furono trasportate per accertamenti al Pronto soccorso.
Non così purtroppo per Antonio Cecchi. L’uomo nel 2009 era stato colpito da un ictus che gli aveva causato pesanti problemi di deambulazione: camminava a fatica e con l’ausilio di un bastone. Non avendo né moglie né figli ed essendo bisognoso di assistenza continua, da un paio d’anni era stato accolto nella loro casa dal fratello Lamberto, oggi 74enne, e da sua moglie.
L’incendio scoppiò quando Lamberto riposava sul divano letto dove dormiva abitualmente e dove l’avrebbero trovato senza vita i pompieri: inutili i tentativi di rianimarlo dei sanitari.
Quando Lamberto Cecchi vide scoppiare l’inferno, fece l’impossibile per salvare il fratello, chiamandolo ripetutamente, senza però ottenere risposta; lanciò tutti i secchi d’acqua che poteva, ma fumo e fiamme erano sempre più alti, non consentivano neppure di vedere all’interno delle stanze, oltre che di respirare. Non gli romase che correre fuori e mettere in salvo la moglie, per poi tornare indietro e tentare di richiamare ancora il fratello: invano.
L’autopsia disposta dal magistrato e affidata al medico legale dott. Brunero Begliomini confermò come il pensionato sia deceduto unicamente per “inalazione dei fumi di combustione sviluppatisi dall’incendio domestico occorso nella stanza adiacente a quella dove stava riposando dopo la cena e stava prendendo sonno, trapassando nell’incoscienza legata all’intossicazione acuta da ossido di carbonio”.
I vigili del fuoco hanno accertato che le fiamme avevano avuto origine dalla camera da letto attigua al soggiorno, quella dei coniugi Cecchi, ma non hanno rinvenuto né tracce di acceleranti, quindi l’incendio non era in alcun modo doloso, né mozziconi di sigaretta, né tanto meno i luoghi interessati presentavano fenomeni legati a una possibile esplosione da innesco di sacche di gas metano di cui l’alloggio era servito. Per esclusione, gli inquirenti hanno propeso per la natura elettrica, ma, spiega il sostituto procuratore, “lo stato dei luoghi, a causa degli effetti generati dai prodotti della combustione (che ha distrutto tutto, ndr), non ha consentito di dimostrare chiaramente la causa elettrica che aveva fatto scaturire l’evento”, se si sia cioè trattato di un mal funzionamento dell’impianto elettrico e/o dei suoi componenti, il che avrebbe chiamato in causa direttamente la proprietà dell’immobile, oppure di uno degli apparecchi elettrici (anche per difetti di progettazione o fabbricazione) collegati alle prese.
“Stante la plausibilità dell’ipotesi del guasto elettrico non meglio determinabile nelle cause, e pertanto l’incertezza della determinazione del fatto causale ultimo che determinava l’evento, non essendo emerse dalle indagini risultanze che portino a ipotizzare condotte dolose/colpose a carico di soggetti individuati da porsi in correlazione con l’evento stesso, non paiono ricorrere elementi idonei ad attribuire soggettivamente a taluno la responsabilità penale dell’incendio e della morte di Antonio Cecchi” conclude la dottoressa Dini.
Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, a cui il fratello e la cognata della vittima si sono rivolti, attraverso il consulente legale Massimiliano Bartolacci, per essere assistiti, ora sta studiando il corposo fascicolo penale delle indagini preliminari unitamente all’avv. penalista Alessandra Burchi, del foro di Pisa, per valutare se vi siano gli estremi per predisporre un’opposizione alla richiesta di archiviazione. Sta di fatto che per il signor Cecchi e la moglie è l’ennesima amarezza da quel maledetto 10 marzo 2020, a partire dal quale la loro esistenza è stata stravolta. Da allora il Comune di Prato li ha sistemati in un monolocale vecchio, del tutto inadeguato e fatiscente e le loro innumerevoli richieste di aiuto ai servizi sociali sono cadute per lo più nel vuoto. Adesso, finalmente, è stato comunicato loro che avranno assegnato un nuovo alloggio più consono, ma vuoto, e i due anziani coniugi, in ristrettezze economiche, non hanno i mezzi per arredarlo: quasi tutto ciò che possedevano è andato distrutto dall’incendio e quel poco che si è salvato è sparito per mano di “sciacalli” dopo che l’immobile è stato dissequestrato e sono stati tolti i sigilli. La loro speranza è che quanto meno, dopo tutto ciò che hanno passato, dal municipio si mettano una mano sulla coscienza e diano loro qualche risposta.