mercoledì, Maggio 8, 2024

Paolo Fornaciari dalle due ruote al gelato “Jannik-carota-Sinner”

di Stefano Di Cecio

BORGO A BUGGIANO – Una vita da campione nel ciclismo e quando è stato il momento di ritirarsi dall’attività sportiva ne ha iniziata un’altra nel campo del gelato, sempre però da campione. Abbiamo raggiunto Paolo Fornaciari perché ci raccontasse qualcosa di sé, di tutti i suoi traguardi raggiunti con forza, dedizione, coerenza ma in particolare con la correttezza che lo ha sempre contraddistinto. Ci ha accolto nel suo “regno” la gelateria a Borgo Buggiano che non poteva chiamarsi se non “Ultimokilometro”.

Paolo Fornaciari

Ciclisticamente ha cominciato proprio a Pistoia, infatti viste le sue vittorie nella categoria juniores, quando è passato alla categoria superiore è stato cercato da diverse società. Alcune gli prospettavano delle buone offerte che, all’età di 17 anni erano molto allettanti dal punto di vista economico e non solo. Poi arrivarono Giorgio Vannucci, Bardelli e altri del G.S. Bottegone e gli dissero “noi non ti diamo proprio niente, se però vuoi fare il corridore noi ti prendiamo fisso dandoti vitto, alloggio e un piccolo stipendio”. Si consultò allora con il padre e la scelta ricadde proprio sul G.S. Bottegone dove è rimasto cinque anni. Per loro ha vinto il Campionato Toscano, il Gran Premio Del Rosso a Montecatini e poi è diventato professionista.

Ti chiamavano il “coltellaccio di Viareggio”

Coltellacci li chiamano a Viareggio, sono in realtà i cannolicchi ed io li andavo a pescare con i miei amici, li chiamano coltellacci perché sull’estremità superiore tagliano come rasoi, poi, una volta presi ci facevamo delle grandi spaghettate.

Cosa successe dopo il periodo trascorso al Bottegone?

Nel 1992 sono diventato professionista, dovevo partecipare anche alle Olimpiadi di Barcellona ma per un disguido non andai. Nel 1993 sono passato alla Mercatone Uno che in quegli anni nasceva proprio con il gruppo toscano, insieme a me c’erano Franco Gini e Antonio Salutini, il patron era Luciano Pezzi. La prima gara che ho fatto da professionista è stata in Sicilia dove arrivai secondo dopo Bartoli. All’epoca avevamo 21 anni e tutti dicevano sono nati due nuovi grandi professionisti, due stelle e invece ne è nata solo una, Bartoli. Poi arrivai secondo alla sesta tappa Parigi Nizza del 1995,  secondo nel gran premio di Harelbeke in Belgio del 1997, in salita andavo bene, ho fatto qualche piazzamento al Giro d’Italia, fu allora che il direttore sportivo Antonio Salutini mi prese per un orecchio e mi disse “senti, te c’hai un motore formidabile, sei fortissimo, ma non vinci, sempre secondo, terzo, ottavo, nono, sei a un bivio, decidi o vinci o aiuti a vincere”. Subito dopo arrivò Cipollini in squadra ed entrai nel “treno rosso Saeco” cominciai ad aiutare il velocista e da lì cominciai a fare il gregario e l’ho fatto per 17 anni nelle migliori squadre dei professionisti.

Qualè il ruolo del gregario?

Ho sempre avuto capitani che poi vincevano le corse, a Cipollini tiravo le volate e lui vinceva valorizzando così anche il mio nome. Nel Giro d’Italia del 1997 vinse Ivan Gotti ed io ero nello squadrone Mapei. Il Giro delle Fiandre del 2002 fu vinto da Andrea Tafi di Lamporecchio Nel 2003 lo ha vinto Simoni ed io ho tirato tutto il giro, nel 2004 lo ha vinto Cunego mio compagno di squadra e di camera, Michele Bartoli ha vinto la coppa del mondo ed anche Paolo Bettini, io sono stato sempre gregario di questi corridori.

Il gregario assomiglia insomma alla figura del mediano nel calcio?

Sì, più o meno ed è un lavoro oscuro, quando la televisione si collegava per l’arrivo io ero già sotto la doccia ma i primi 150 km li avevo fatti io, con il vento, le salite. Ci sono state tappe in cui piangevo dal freddo con il ghiaccio sopra le scarpe. Ricordo una tappa a Les Deux Alpes, arrivati in cima dovevamo fare una discesa di trenta chilometri, la temperatura era  zero gradi e  morivamo dal freddo. Un lavoro oscuro e di fatica ma gli addetti ai lavori lo conoscono bene e quindi quando arrivava il Giro d’Italia mi proponevano subito il contratto anche per due o tre anni consecutivi.  A chi mi proponeva il contratto accettando le mie richieste, mi bastava una stretta di mano, la firma sul contratto avveniva dopo, a novembre quando veniva depositato in Lega. Nel frattempo avrei potuto vincere anche il campionato del mondo ma la mia parola era solo una. Tutta la mia vita, prima il ciclismo e poi la gelateria è basata sulla serietà e la professionalità, mi vengono ancora a trovare colleghi di allora ed è per me una grande soddisfazione.

La scelta di lasciar il ciclismo e dedicarti alla gelateria quando è avvenuta?

Ho sempre avuto una grande passione per la cucina, a casa ho il forno a legna, mi piace fare il pane, la pizza, tutte cose che mi ha insegnato mia madre e lo facevo anche quando correvo. Alcune volte andavo agli allenamenti con le fette del pane in tasca per farle assaggiare agli altri e ricevere i loro giudizi sulla qualità. Poi ho cominciato a pensare cosa fare dopo il ciclismo, ho preso la tessera di direttore sportivo, ma con mia moglie Maddalena Boni, conosciuta grazie al ciclismo, avevamo comprato un fondo. Mia moglie era una grande mangiatrice di gelato, da lì l’idea di aprire una gelateria. Sono stato per sei mesi a  scuola da Palmiro Bruschi, maestro gelatiere di San Sepolcro.  Mi presentai ma mi conosceva già, perché anche lui andava in bici. Nella primavera del 2009 abbiamo aperto questa gelateria. Fin da subito abbiamo deciso di fare un gelato di altissima qualità mettendo oltre agli ingredienti necessari, la serietà e tutto quello che mi aveva insegnato il ciclismo.

Cosa avete inventato?

Per fare il gelato si può usare tutto, dal sedano all’olio di oliva passando per la polpa di granchio. Ci si può davvero sbizzarrire ma l’importante è ottenete un buon prodotto. Quando Nibali vinse il Tour de France ho realizzato il “giallo Nibali” poi il “giallo Nocentini” e quest’anno, visto che sono un grande appassionato di tennis, con Sinner ed i suoi carota boys, abbiamo inventato il gelato alla carota. Non è stato facile e ci abbiamo messo un pò per arrivare alla versione definitiva. Il gusto variava molto dal tipo di carota utilizzata, abbiamo scelto quelle biologiche. Poi, per dargli un tono abbiamo fatto delle prove con gli agrumi ed abbiamo usato le scorze di mandarini candite ed infine abbiamo aggiunto le mandorle caramellate. Il risultato finale l’abbiamo ottenuto dopo tante prove perché il gelato deve essere ben bilanciato per stare in vetrina a meno 14 gradi e deve essere spatolabile. La versione definitiva risale a domenica scorsa ed ha avuto un grande successo, ne abbiamo venduti quasi dodici chilogrammi.

Progetti per il futuro?

Continuare con il nostro gelato di massima qualità, partecipare ai concorsi come al Sigep di Rimini in cui abbiamo già vinto molti premi, ma quello che conta mi disse il grande maestro gelataio Carlo Pozzi “Paolo fai pure i concorsi e vincili perché sei bravo, ma ricordati sempre che il concorso principale è la vetrina del gelato che hai nel negozio e lì quello che ti darà le soddisfazioni maggiori”.  Noi chiudiamo due giorni la settimana e ci prendiamo più tempo per noi, quando correvo stavo lontano da casa mesi, ora voglio dedicare il mio tempo a mia moglie ed a Greta e Marianna le mie figlie.

Related Articles

Rispondi

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome


ULTIMI ARTICOLI