venerdì, Maggio 3, 2024

Abbecedario verde. Verde verticale, la sostenibilità ambientale

di Marco Cei

È ormai appurato che moltissime soluzioni di verde pensile, in primo luogo i tetti verdi, costituiscono soluzioni migliorative della efficienza ecologica degli edifici (su parametri quali inerzia termica, rallentamento deflussi idrici, albedo, fissaggio polveri sottili, aumento biodiversità vegetale), tanto che alcune città estere ma anche italiane (come Bolzano) nelle loro norme hanno imposto tali tecniche per la copertura dei nuovi edifici a tetto piano.

Il presente focus vuole però concentrarsi sulla reale sostenibilità ambientale del verde verticale propriamente detto, la soluzione tecnica costituita dalle pareti o chiusure vegetali.

La tecnica del Muro Vegetale prevede materassini autoportanti su cui vengono messe a dimora diverse piante (20-30 piante per metro quadrato), quasi mai rampicanti o ricadenti, con sistema di irrigazione su tutta la superficie. Con tecnologie sofisticate si ottiene una vera e propria cortina vegetale, in cui le piante vengono inserite in tasche ritagliate in una pannellatura continua di feltro che funge sia da sostegno che da riserva idrica, schermando totalmente la parete.

Da quando Patrick Blanc, botanico francese, ha lanciato e diffuso questa moda, la copertura vegetale di pareti sempre più estese è diventata un nuovo status internazionale. E non si può negare che essa costituisca una nuova forma e idea di giardino, benché inaccessibile all’uomo. La sua reale sostenibilità e gli alti costi di realizzazione (da 8-900 fino a oltre i 1.500 €/mq) e quelli successivi per la manutenzione ne fanno un oggetto da maneggiare con cura, suggerendo di limitarlo a casi di particolare importanza e rappresentatività. Le sue più riuscite realizzazioni sono infatti legate a necessità o volontà di brand, immagine e marketing. I primi due decenni del nuovo millennio hanno così visto diverse realizzazioni, di grande fascino e bellezza, diventate dei veri manifesti green.

Museo del Quai Branly a Parigi di Jean Nouvel, Gilles Clément e Patrick Blanc (2006)

Patrick Blanc e il Museo d’Arte Contemporanea Caixa Forum a Madrid (2008)

Come le istituzioni culturali, quali i due musei esteri sopra riportati, anche alcune imprese private hanno scelto questo tipo di soluzioni green.

Diesel Village a Breganze, Vicenza (2010)

In Italia si trova una delle pareti vegetali indoor più grandi al mondo, presso il Diesel Village vicino a, Vicenza. Si tratta di un giardino verticale alto 25 e largo 10 metri, per uno sviluppo totale di 250 mq di superficie verticale. A chi accusasse la ditta di “darsi solo una mano di verde” per fare “greenwashing” (vedi voce dell’Abbecedario), può essere risposto, a ragione, che la parete verde è singola parte di un grande complesso produttivo “green”, inaugurato nel 2010, in cui giardini, piazze, asili e ristoranti, sono tutti orientati verso la massima sostenibilità ambientale, sfruttando energia solare e geotermica e con soluzioni tecniche a basso impatto, pensati e realizzati per i lavoratori stessi dell’azienda di Renzo Rosso e i loro familiari (quindi anche verso una sostenibilità sociale).

Diversi studi e ricerche stanno indagando le nuove tecniche costruttive green dal punto di vista energetico, e uno in particolare si è soffermato sul tema dei bilanci energetici: Il nuovo verde verticale, di Edoardo Bit (Wolters Kluwer, Milano 2012). Bit distingue 2 tipologie fondamentalmente diverse: i “Rivestimenti a verde”, sistemi semplificati con strutture di sostegno che accompagnano e sostengono vegetazione che si sviluppa in altezza e in superficie, e le “Chiusure vegetate”, molto più efficienti nel controllo dei fattori climatici dell’edificio, spesso anche molto più scenografici, ma con un consumo di risorse tendenzialmente elevato; «risorse economiche (costi di realizzazione e manutenzione), idriche ed energetiche esplicite e implicite (l’embodied energy relativa ai molteplici materiali e sottosistemi)». Un altro punto critico è rappresentato dalla durata, e spesso i sistemi complessi si rivelano più deperibili e poco efficienti già nel breve periodo. «È quindi possibile affermare che la sostenibilità del Verde Verticale è direttamente proporzionale alla semplicità sistemica, per cui un rivestimento a verde si rivelerà totalmente sostenibile nella maggioranza dei casi, mentre l’impiego di una chiusura vegetata andrà invece debitamente ponderato rispetto a fattori energetici e monetari». È utile anche verificare che l’intera filiera di produzione industriale tenda al minimo tenore energetico complessivo (la cosiddetta “energia grigia”), a parità di adeguata durata. Un capitolo a parte meritano le scelte vegetali, declinate come scelta delle specie più idonee (rampicanti o decombenti), rusticità agli stress (normalmente maggiore nelle specie autoctone o naturalizzate), spessore e superficie fogliare di copertura, durata della foliazione (decidua più efficace della sempreverde, per le differenti risposte alle esigenze stagionali degli edifici). La cultura e le conoscenze botaniche e orticole provengono perlopiù dal mondo nordico: per esempio, in uno dei testi più utilizzati (Paolo Abram, Verde pensile, Milano 2006), il capitolo “Le specie vegetali più idonee” risulta dalla traduzione della tedesca Helga Salchegger. Negli ultimi anni, però, esperienze e ricerche scientifiche hanno contribuito in parte al deficit di conoscenze sulle specie più adatte ai nostri climi mediterranei.

L’alta complessità tecnologica delle chiusure vegetali ne determina quindi la grande efficienza di prestazioni, ma anche una congenità fragilità, finora non smentita. Il malfunzionamento di qualche impianto o, peggio, la carenza di cure per periodi anche molto limitati, può pregiudicare lo sviluppo della vegetazione o addirittura la sua totale scomparsa.

«Il muro di circa 70 metri e alto più di 6 che delimita l’ex complesso carcerario delle Murate a Firenze diventerà un grande e lussureggiante giardino verticale pieno di foglie e di fiori. Una sorta di enorme ‘quadro’ vegetale, composto da un sistema di pannelli modulari che permetterà di alternare geometrie e composizioni di colori e piante, segnando il passaggio delle stagioni» Questo era l’annuncio, quasi trionfale, con cui l’amministrazione fiorentina anticipava il muro verde lungo i suoi viali storici, inaugurato nella primavera del 2012, per un costo di circa 100.000 euro, che voleva essere la dimostrazione vivente e riuscita delle nuove tecniche di verde verticale. A distanza di circa 10 anni però, la carenza di cure ne ha prodotto il degrado progressivo, fino alla morte completa delle piante qui coltivate. Il tempo si dimostra sempre la verifica principale delle nostre scelte e questo è ancora più vero nel campo del paesaggio vegetale.

La parete verde realizzata dal comune di Firenze alle Murate lungo il viale Giovine Italia (2012-2022)

I rivestimenti a verde, come detto, hanno una struttura semplificata e prestazioni decisamente inferiori rispetto alle chiusure. Esistono da secoli o millenni nelle tecniche costruttive umane, basti pensare alle già descritte turf houses nordiche o alle nostre facciate di case urbane o rurali coperte da glicine, edera o vite. Sulla scia dei più complessi muri verdi di Blanc, i rivestimenti sono stati riproposti con modalità rinnovate ed esiti spesso positivi. Ne mostro qui alcuni esempi, uno italiano, uno italo-francese e uno orientale, l’Hotel Babylon, decisamente innovativo per la compenetrazione funzionale fra architettura e presenza vegetale.

Compagnia del Verde (Zelari Company), Fabbrica Braccialini Scandicci (FI) 2009

La soluzione sulla fabbrica di Scandicci è molto semplice, risolta con una gabbia metallica esterna all’edificio, nella cui intercapedine sono alloggiate due file di contenitori che ospitano ognuno 3 o 4 piante di edera comune e un impianto di ferti-irrigazione automatico. La facciata verde è stata affidata all’azienda pistoiese e nel giro di 2-3 anni la copertura vegetale è stata praticamente totale. Il risultato oggi non si presenta ottimale a causa dei problemi finanziari del gruppo proprietario che hanno inciso su cure non propriamente assidue.

Paesaggista Quincy Hammond e Giardineria Italiana (Gruppo Mati), Abercrombie & Fitch a Parigi 2011

Ancora più semplice la soluzione parigina, che non ha interposto nessuna struttura di sostegno alla vegetazione rampicante, che si attacca direttamente sulla facciata muraria.

La struttura ricettiva vietnamita prende il nome Babylon proprio per richiamarsi ai più famosi giardini pensili della storia. I prospetti dell’Hotel sono realizzati mediante una serie di lamelle fisse in calcestruzzo ricoperte da piante rampicanti e non solo. Questo involucro consente di avere un buon ombreggiamento, una giusta riservatezza e privacy per i clienti dell’hotel senza però ostacolare il passaggio e il ricircolo di aria e luce. Come materiali sono stati usati elementi naturali per armonizzarsi con la natura circostante, come bambù e pietra; la vegetazione rampicante è lasciata libera di svilupparsi attraverso l’involucro della struttura, che la contiene e la guida nella sua crescita.

Architetto Vo Trong Nghia,  Hotel Babylon – Vietnam (2016)

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