lunedì, Aprile 29, 2024

La carriera militare, il regno mancato, l’esilio: Filiberto di Savoia, il “Duca di Pistoia”

PISTOIA – Filiberto Lodovico Massimiliano Emanuele Maria di Savoia: un nome curioso ma quasi sconosciuto, in apparenza non legato in alcun modo alla nostra città, salvo il fatto che questo personaggio fu il primo e l’unico a essere investito del titolo nobiliare di “duca di Pistoia”.

Ma chi era Filiberto? E perchè assunse questo titolo? Nato nel 1895 a Torino, secondo dei sei figli di Tommaso di Savoia e Isabella di Baviera, apparteneva a quel ramo cadetto di casa Savoia che aveva il proprio capostipite nel nonno Ferdinando, figlio di Carlo Alberto e fratello minore di Vittorio Emanuele II re di Sardegna e primo re d’Italia. Ferdinando già durante il regno del padre era stato investito del titolo di duca di Genova, che aveva poi trasmesso ai propri discendenti andando a identificare questo ramo della famiglia come “Savoia-Genova”: secondo il diritto nobiliare vigente nell’Italia monarchica, il titolo nobiliare veniva trasmesso di padre in figlio alla morte del primo e spettava solo al primogenito maschio della famiglia, a patto che fosse figlio legittimo e naturale, escludendo così, oltre alle figlie femmine e ai figli cadetti, eventuali primogeniti adottivi o illegittimi.

Filiberto di Savoia, duca di Pistoia

Ciò tuttavia non significava che i figli, ancora bambini, non potessero essere investiti di un “nuovo” titolo nobiliare a carattere “personale” e creato all’occasione, e che spesso veniva abbandonato o decadeva nell’uso al momento dell’assunzione del titolo nobiliare della famiglia.

La creazione di nuovi titoli nobiliari da assegnare a membri della famiglia o dei vari “rami” collegati al casato principale aveva una duplice funzione: da un lato serviva per legittimare il ruolo politico e soprattutto militare del personaggio che ne veniva beneficiato, dall’altro era uno strumento nelle mani del re per esercitare un controllo più stretto sul casato e per rafforzarne l’immagine di unità, con l’intento di aumentarne il prestigio e prevenire dispute interne.

Fu così che, seguendo una tradizione molto diffusa e radicata e largamente praticata presso i Savoia, nel giro di appena due anni, tra il 1904 e il 1906, tutti e quattro i figli maschi di Tommaso e Isabella ricevettero ancora giovanissimi, da parte del re Vittorio Emanuele III, nuovi titoli nobiliari che vennero creati attingendo al patrimonio delle “città storiche” italiane.

Al primogenito Ferdinando il sovrano assegnò il titolo di principe di Udine, a Filiberto quello di duca di Pistoia (22 settembre 1904), ad Adalberto quello di duca di Bergamo e all’ultimogenito Eugenio quello di duca di Ancona. Si tratta di titoli istituiti ex novo, funzionali alla legittimazione del grado nobiliare dei discendenti e dei membri di casa Savoia, che non hanno alcun legame con le passate vicende storiche e politiche di queste città: tra le quattro citate solo Bergamo e Udine furono effettivamente a capo di ducati nella lontana epoca longobarda, ma queste realtà politiche altomedievali non costituivano certo né un richiamo diretto né un riferimento o un modello per i Savoia.

Al contrario, il casato sabaudo si sforzava spesso, usando titoli relativi alle varie città italiane, di rafforzare l’idea di unità nazionale e di una monarchia che doveva essere percepita dal popolo come fattore unificante e come elemento di garanzia, di tutela e di protezione dell’Italia postunitaria. Una nazione ancora “giovane” e piena di criticità, tornata solo da pochi anni all’unità politica dopo secoli di divisioni e frammentazioni, che secondo la propaganda regia i Savoia avevano il compito storico e l’impegno morale di condurre verso la modernità e far entrare nel “circolo” delle grandi potenze europee.

Non sorprende quindi l’attenzione rivolta dai Savoia verso l’ambito militare: anche il nostro Filiberto, avviato alla carriera militare così come il fratello maggiore Ferdinando, uscì nel 1915 dalla scuola militare di Modena e appena ventenne partecipò alla Grande Guerra appena scoppiata nel reggimento “Nizza Cavalleria”, prendendo parte ad alcune operazioni militari nella zona di Monfalcone e lungo la linea dell’Isonzo. Il 4 novembre 1918, data successiva alla firma dell’armistizio di Villa Giusti con l’Austria che poneva la fine alle ostilità, Filiberto fu tra i primi ad entrare nella “redenta” città di Trento alla testa del proprio reggimento di cavalleria.

Dopo la fine del conflitto fu posto a Bolzano proprio allo scopo di aumentare il sentimento di unità nazionale e di appartenenza alla comunità italiana della popolazione locale, in gran parte di lingua tedesca e di cultura tirolese e per questo ostile alla recente annessione al Regno d’Italia. D’altra parte il nuovo regime fascista diede presto avvio a un’aggressiva campagna di italianizzazione forzata nei confronti degli altoatesini, in cui non sappiamo di preciso se e quale ruolo ricoprì Filiberto, che in quegli anni iniziò a scalare i gradi militari fino a diventare comandante generale della divisione di fanteria da montagna “Brennero”.

La prima pagina del quotidiano La Stampa con la notizia della vittoria italiana nella battaglia dell’Amba Aradam durante la campagna d’Etiopia

Nel 1935 fu nominato comandante generale della prima divisione Camicie Nere “23 marzo” (il riferimento è al 23 marzo 1919, data della fondazione dei Fasci di Combattimento in piazza San Sepolcro a Milano ad opera di Mussolini) inquadrata all’interno della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, corpo di polizia armata che partecipò al fianco del Regio esercito alla guerra per la conquista dell’Etiopia. Filiberto prese parte con la sua divisione alla campagna d’Abissinia e qui si distinse nella battaglia dell’Amba Aradam (febbraio 1936), quando i suoi uomini furono i primi a issare la bandiera italiana sul campo nemico, dopo aver sconfitto le truppe del ras Mulughietà. Un’operazione vittoriosa che gli valse la medaglia d’argento al valor militare e il cavalierato dell’Ordine Militare di Savoia, nonchè un crescente prestigio presso i quadri militari e una maggiore considerazione degli alti gradi del regime fascista, nonostante in passato l’Ovra lo avesse tenuto sott’occhio per la sua presunta omosessualità.

Nel 1940 fu nominato comandante generale della settima armata del Regio esercito di stanza a Torino, incaricata di compiere alcune operazioni lungo i confini occidentali a seguito dell’ingresso in guerra dell’Italia fascista contro la Francia, ma il ruolo di Filiberto si limitò solo ad alcune azioni di pattugliamento e le sue truppe non fecero in tempo ad entrare in azione a causa del sopraggiunto armistizio francese.

Nel 1941 per il duca di Pistoia, raggiunti ormai i vertici militari, si prospettò addirittura la possibilità di salire su un trono, quello del neocostituito Stato Indipendente di Croazia: uno Stato-fantoccio eretto su territori appartenuti al defunto Regno di Jugoslavia, controllato dalle forze dell’Asse e posto sotto il comando di Ante Pavelic e dei suoi Ustascia. Per dare una parvenza di autonomia e di legittimità al nuovo Stato, Pavelic si rivolse a Vittorio Emanuele III perchè individuasse un esponente di casa Savoia a cui offrire, seppur solo nominalmente, la corona del Regno di Croazia; tra anziani, scapoli o . prigionieri degli inglesi, molti membri della famiglia vennero “scartati” e alla fine la scelta del re fu limitata a solo due candidati “papabili”, per l’appunto Filiberto e Aimone duca di Spoleto, quest’ultimo appartenente al ramo “Savoia-Aosta”.

Il duca di Pistoia in visita alla fiera campionaria di Milano nel 1939 (foto Archivio Fiera)

Come annotò anche Galeazzo Ciano nel suo diario, alla fine il sovrano optò per Aimone per le sue doti di prestanza fisica e le sue capacità politiche e intellettuali, rispetto a un Filiberto che, al di là dell’ambito militare, non aveva mai compiuto esperienze o ricoperto ruoli politici di un certo rilievo. Come suggerito inoltre da alcune testimonianze del tempo, il duca di Pistoia pagò forse in questo frangente il suo stile di vita molto riservato, lontano dalla mondanità e improntato a una semplicità che molti intesero come segno di poca abilità e intelligenza, vista la poca stima di cui godeva presso Vittorio Emanuele III.

Sfumato il sogno di una corona, con la fine della guerra, il referendum istituzionale del 1946 e la proclamazione della Repubblica italiana, Filiberto e la moglie, la nobildonna belga Lydia d’Arenberg, si trasferirono a Losanna in una villa di proprietà della potente e ricca famiglia della donna. Tuttavia questo “esilio volontario” non durò molto e, dopo la separazione dalla moglie, Filiberto fu libero di tornare in Italia nella sua amata Torino, dove si stabilì insieme al fratello minore Adalberto.

Nel 1963 morì il fratello maggiore Ferdinando e da questi il nostro Filiberto ereditò il titolo nobiliare di duca di Genova, diventando il quarto in linea di successione a potersi fregiare di tale titolo: questo passaggio segnò inoltre l’abbandono del precedente titolo di duca di Pistoia, che con l’elevazione al grado maggiore di duca di Genova venne definitivamente accantonato.

Tornato in Svizzera nella villa ereditata dall’ex moglie, Filiberto morì nel 1990 senza figli al termine di una vita longeva ma trascorsa in buona parte lontano dai riflettori. In quanto membro di casa Savoia, venne sepolto nella cripta reale di famiglia nel sotterraneo della basilica di Superga.

Una curiosità: nella toponomastica pistoiese è presente una via del Duca, breve tratto di strada fra via degli Orafi e piazza dello Spirito Santo, in pieno centro storico. Tuttavia non c’è nessun rapporto fra questa denominazione e la vicenda storica e biografica di Filiberto, duca di Pistoia: infatti il nome della via, attestato fin dal 1835, fa riferimento alla presenza di un palazzo di proprietà della famiglia Rospigliosi e in particolare a uno dei suoi membri più illustri, il principe Giovanni Battista, che nel 1667 fu nominato dallo zio, papa Clemente IX, primo duca di Zagarolo. Fu questo titolo nobiliare riferito alla cittadina laziale, a lungo appannaggio dei Rospigliosi, a dare alla via di Pistoia il nome attuale.

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