sabato, Aprile 20, 2024

Le parole tra diversità e ricchezza nel nuovo spettacolo di Sotterraneo

PISTOIA – Le parole e il linguaggio come specchi della diversità e della complessità, ma anche della ricchezza culturale del mondo.

Fa sorridere e soprattutto riflettere “Atlante linguistico della Pangea”, il nuovo spettacolo portato in scena da Sotterraneo al Teatro Bolognini, frutto di un progetto originale maturato nei mesi passati del “lockdown”.

In scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati e Giulio Santolini, per la scrittura di Daniele Villa.

Come spiegato da Sara nell’introduzione, “è uno spettacolo sulle parole intraducibili, nato durante la pandemia attraverso il contatto online con persone provenienti da ogni parte del mondo. Per la prima volta l’umanità si è trovata nello stesso momento ad affrontare il medesimo problema, e ogni cultura ha dato una propria risposta al bisogno di guardare avanti”. Da qui l’idea di un “ritorno” alla Pangea, a un mondo unito nel superare pregiudizi e barriere per affrontare le sfide comuni, ma allo stesso tempo straordinariamente ricco dal punto di vista linguistico.

Una scena dello spettacolo di Sotterraneo (foto di Giulia Di Vitantonio)

Lo spettacolo di Sotterraneo è un’esplorazione continua nei vocabolari delle lingue del mondo, dalle più note e diffuse a quelle semisconosciute, alla ricerca di “vocaboli unici”, cioè non direttamente traducibili in altri idiomi, capaci di racchiudere un intero concetto, un’idea, un sentimento. È la magia del linguaggio, con la sua diversità e straordinaria complessità, attraverso il quale ogni cultura, ogni popolo esprime ciò che sente il bisogno di definire.

Con il linguaggio, infatti, ciascuna cultura ci racconta qualcosa di se stessa, ci rivela un elemento specifico del proprio sentire, della propria rappresentazione della società e del mondo. L’aspetto più curioso e interessante, in alcuni casi sconvolgente, è scoprire l’esistenza di parole che definiscono cose in apparenza assurde o lontanissime dalla nostra realtà e mentalità, come una parola finlandese che indica “la distanza che una renna può percorrere tra una pausa pipì e l’altra”. Una parola per noi priva di senso, ma importante nel vocabolario degli allevatori di renne della Lapponia, che hanno sentito il bisogno di definire “quella cosa” attraverso un nuovo lemma.

Ma gli esempi sono molteplici: in lingua inuktitut, la parola “iktsuarpok” significa “il senso di aspettativa che ti spinge ad affacciarti ripetutamente alla porta per vedere se qualcuno sta arrivando”; in giapponese “tsundoku” significa “impilare un libro appena comprato insieme agli altri libri che prima o poi leggerai”; in bantu la parola “ubuntu” significa “posso essere una persona solo attraverso gli altri e con gli altri”.

Sul palco gli attori mettono in scena e rappresentano le situazioni descritte dalle parole che scorrono sullo schermo, dando allo spettacolo il carattere di un “gioco” coinvolgente, secondo un format già sperimentato con successo con “Il giro del mondo in 80 giorni”. Non mancano, a intervalli, le interviste a persone di vari Paesi del mondo che, in inglese e nella loro lingua madre, tentano di spiegarci il senso e il significato delle “loro” parole.

Lo spettacolo si conclude con una riflessione sulle lingue morte o in via di estinzione: la scomparsa di una lingua si traduce non solo in un impoverimento culturale, ma soprattutto nella perdita di un modo di rappresentare e di vedere il mondo da parte di una determinata cultura.

Le parole sono un patrimonio prezioso da difendere e tutelare, che ci apre gli occhi e la mente sulla straordinaria ricchezza delle differenze.

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