lunedì, Maggio 13, 2024

“Vanitas, l’inganno del tempo”: intervista al curatore Maurizio Vanni

CASALGUIDI – Aviero, Elio De Luca, Annika Geigel, Hector&Hector, Luigi Petracchi, Lolita Timofeeva, Valerio Toninelli: sette artisti, altrettanti modi di vedere, interpretare, sentire il tempo e la sua vanità.

Le loro opere sono esposte allo “Spazio Zero”, galleria di arte contemporanea che si trova a Casalguidi in via Forra di Castelnuovo e la mostra rimarrà aperta fino al 26 maggio.

Ne abbiamo parlato con il curatore, Professor Maurizio Vanni, in occasione del “living talk show” con gli artisti e con un intervento musicale di Filippo Grassi compositore ed esecutore di Kairos, tre melodie per improvvisare sul tempo.

Vanni è attualmente storico dell’arte e museologo, ha fatto a lungo critica d’arte militante. Specialista in sostenibilità, valorizzazione e gestione museale e gli piace evidenziare questo aspetto. Per lui i musei non devono essere solo belli, ma devono funzionare bene e soprattutto inclusivi per tutti. 

Il curatore Maurizio Vanni e il gruppo dei sette artisti protagonisti della mostra collettiva “Vanitas: l’inganno del tempo” (fotografie di Stefano Di Cecio)

Professor Vanni, perché ha deciso di curare la mostra?

Ci sono due motivi, uno prettamente filosofico o culturale. Scopro studiando, leggendo, guardando, ascoltando che il tema del tempo è uno dei più affrontati, trattati, dibattuti, indagati da quando mondo è mondo, dalla scuola ai tempi moderni.

Tutti gli artisti, forse per esorcizzare la paura della morte, per giocare e scherzare con la morte, hanno in qualche modo trattato il tema del tempo, ma realmente tutti i secoli hanno visto artisti che hanno dedicato opere al tempo.

Il filo conduttore era è stato quella di scherzarci perché in fondo in loro rimaneva la paura. Poi scopro un grande filosofo, che per me è stato un punto di riferimento culturale, Sant’Agostino che nelle Confessioni ammette di aver dedicato mezza vita allo studio del tempo.

Egli dice: “dopo aver passato vent’anni a studiare, se voi mi chiedete cos’è il tempo, io sono certo di sapere cosa sia. Se voi poi mi chiedete di raccontarvelo, descriverlo o definirlo, non so come fare”.

Quindi ho scoperto che era un tema che poteva essere ancora riaffrontato nei tempi moderni. E la seconda missione è quella di portare gli artisti contemporanei a dialogare con un tema non semplice, ma riavvicinarli al pubblico generico, comune.

Quindi artisti sismografi del proprio tempo, artisti che raccontano loro qui e ora. che sono influenzati da ciò che succede nella loro storia e nel loro momento, nel loro contesto, che incontrano un pubblico non solo di esperti addetti ai lavori ma un pubblico occasionale non sempre abituato a frequentare i musei.

Ecco allora una mostra con sette artisti che affrontano il tema in sette modi differenti. Per loro ho elaborato un saggio generico sul tempo, gli artisti lo hanno ricevuto ma non l’hanno interpretato, hanno ricevuto solo uno stimolo, una sollecitazione a riflettere e ovviamente ognuno l’ha fatto a modo suo.

Quello che hanno trasmesso tramite le loro opere, sono in parte emozioni, in parte pensieri, in parte stati d’animo, è un mix. Anzi, quasi tutti sono partiti dal loro pensiero sul tempo. e dal loro pensiero sul tempo attraverso loro stessi. Hanno scoperto che per parlare di tempo e affrontarlo dovevano avere il coraggio di mettersi in gioco.

Sette concezioni diverse di tempo, con il loro coinvolgimento, prima cognitivo e poi emozionale, una partenza certa e uno sviluppo più imprevedibile. Vorrei che le persone non chiedessero all’artista cosa significa. Se si mettono in gioco i sentimenti, le emozioni, non sempre riesci a risalire alla parte razionale.  

Non c’è più la contemplazione e la spiegazione razionale come se fosse un’opera etrusca o dell’arte classica del passato, ma c’è quel qualcosa che porta ogni spettatore ad avere un percorso estetico differente, soggettivo.

Il tempo è anche una misura, l’interpretazione può continuamente cambiare.

Ci sono due fattori che ovviamente gli artisti hanno preso in considerazione. Il primo, il tempo come Kronos, come misura, Galileo.

Galileo è stato uno dei primissimi a creare l’orologio a pendolo, nel Seicento impone la scienza sopra la filosofia e la religione, impone il tempo come misura. Poi dopo, nel secolo successivo, con Kant e la critica della ragione pura, si incomincia a parlare di relatività.

Allora anche il tempo viene affrontato in modo relativo e questo porta probabilmente a colui che ha rotto lo schema del tempo assoluto, Einstein. Perché il tempo relativo? Semplice, quando sto seduto accanto a una bella ragazza un’ora mi sembra un minuto. Quando sono seduto sopra una stufa molto calda, un minuto mi sembra un’ora.

Vista l’età dei sette artisti che hanno partecipato, dai trenta agli oltre settanta anni, hai notato qualche differenza?

Posso dirti che ho avuto delle bellissime lezioni e non sto parlando di quali fossero i migliori o i peggiori. Ho avuto una lezione di vita dagli artisti più grandi d’età, che sono tornati quasi bambini per affrontare questo tema. Mi hanno dato una lezione non di umiltà, ma mi hanno fatto comprendere quanto sia importante rimanere un po’ fanciulli, un po’ disincantati e un po’ liberi dentro.

I più giovani ovviamente hanno manifestato, insieme all’ingenuità di una professione che sta consolidandosi nelle loro mani, l’intraprendenza di costruire cose grandi. Quindi è una mostra che si completa. In fondo, speravo fosse così. Non c’è contraddizione, c’è complementarietà, ma devo dire con il sorriso che le persone più grandi non hanno fatto cose migliori. Hanno avuto un approccio intraprendente lo stesso, ma imprevedibile, perché in fondo l’artista rimane eternamente un fanciullo, forse.

Da parte loro hai notato soddisfazione nel dedicarsi alle opere che hanno portato qui alla mostra?

In questo caso ho avuto la fortuna di lavorare con persone già conoscevo, quindi ho scelto artisti che sapevo che avrebbero affrontato il tema con gioia, con intraprendenza, qualcuno con timore, poi il timore è stato superato dal piacere, dall’eccitazione.

Quando un artista è coccolato, è messo in condizione di lavorare bene, sa che sarebbe uscito un libro, uno o più mostre, devo dire che tutti hanno rispettato i tempi, le dimensioni delle opere. Qui sono stato abbastanza preciso. Giocate questa partita a patto che rispettiate delle norme formali, non i contenuti che sono cose vostre. Liberissimi di fare ciò che volete, però almeno queste norme dovete rispettarle. Nessuno le ha violate, hanno rispettato norme di dimensioni, di tempo, e soprattutto una narrazione sul tema che mi ha sorpreso ma ha sorpreso anche loro.

Tutti hanno detto non pensavo che sarei arrivato a questo. Sono partiti dalla mia proposta prima verbale e poi scritta e ovviamente poi hanno trovato la loro strada e l’unicità della mostra è proprio legata al fatto che ognuno ha trovato la strada.

Sull’impegno di Luigi Petracchi e di sua moglie Edy che stanno portando avanti lo Spazio Zero con le sue molteplici attività?

La proposta di Luigi e Edy rappresenta una risposta perfetta a quella contemporaneità che deve entrare in luoghi atipici, deve occupare quella che oggi si chiama architettura industriale, deve spostare persone verso altre dimensioni e questa è un’altra dimensione.

È un prodotto che realmente rappresenta lo stato lo stato della cultura in questo momento, è uno spazio che si presta all’Interdisciplinarità, all’Internazionalità, a tutte le narrazioni possibili. Pistoia è una città importante che ha un passato importantissimo per il contemporaneo, qui a pochi chilometri dal centro città c’è una realtà che propone progetti nazionali, internazionali ed interdisciplinari con la cultura.

Credo che un “polmone” del genere faccia un sacco bene a tutto il territorio.

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