sabato, Aprile 27, 2024

Confartigianato, le piccole imprese che resistono

di Umberto Alunni

ROMA – Lunedì scorso nell’assemblea 2021 di Confartigianato Imprese Nazionale, è stato presentato il rapporto “Noi R-Esistiamo, dalla parte delle piccole imprese”. Si riportano alcuni commenti presenti nel rapporto stesso, integrati dalle tabelle più significative. I dati presentati sono talmente eloquenti e così ben interpretati da richiedere ben poche analisi aggiuntive.

L’assemblea della Confartigianato Imprese Italia

Colpisce la non armonia, il contrasto tra la domanda e l’offerta di lavoro. Non è ancora del tutto sopito il luogo comune secondo il quale quello dell’artigiano non sia un lavoro dignitoso parimenti ad altri ritenuti più blasonati. E colpisce soprattutto in un momento come quello della crisi economica di tipo pandemico, da cui stiamo lentamente fuoriuscendo, e in cui si presupporrebbe che – arginata l’onda alta del virus – come sta accadendo, tutto si potesse ricomporre nell’armonia, secondo le cosiddette leggi dell’economia del mercato perfetto.

Si sa, invece, che il mercato non è mai perfetto di per sé ed è la volontà creatrice della persona che fa sì che l’economia possa incamminarsi sulla via del benessere e della tranquillità sociale. Ma ora vanno moltiplicati gli sforzi: ne va non solo della ripresa economica e sociale, ma della nostra gioventù, artigiana e non.

I numeri chiave delle piccole imprese

I numeri delle imprese artigiane sono di tutto rispetto e continuano a decretare, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, lo status di dorsale del sistema economico.

Ripresa con differenti velocità

L’innegabile ripresa, tuttora in corso, va inquadrata nelle sue componenti principali. Ad essa si associa un quadro espansivo della finanza pubblica. Persistono rischi e incertezze, in particolare il
rallentamento della domanda cinese e l’escalation dei prezzi delle commodities che comprime la
creazione di valore aggiunto e, ricadendo sui prezzi al consumo, riduce il potere di acquisto delle
famiglie. Sul mercato del lavoro, mentre gli occupati dipendenti hanno recuperato i livelli pre-crisi,
gli effetti della pandemia si scaricano completamente sul lavoro indipendente. Appare opportuno l’acquisto di spazi di flessibilità della leva fiscale in relazione alla spesa per investimenti, l’adozione di strumenti finanziari innovativi di carattere sovranazionale per la gestione dell’esplosione del debito pubblico nei paesi dell’Eurozona, mentre vanno auspicati tempi più lunghi per la riduzione del rapporto debito/PIL. Gli interventi straordinari per contrastare l’epidemia hanno dilatato la presenza dello Stato nell’economia, a cui andrebbe associata una maggiore efficienza della Pubblica amministrazione. La ripresa potrebbe venire rallentata dal depotenziamento degli interventi fiscali espansivi che sostengono la crescita degli investimenti in abitazioni.

Un habitat poco favorevole

Per garantire una vitale accelerazione della crescita dell’economia italiana, vanno migliorate le
condizioni di competitività delle imprese. Nella comparazione su dati del Fmi (2021) tra i
maggiori 20 paesi avanzati, per quest’anno l’Italia registra una spesa pubblica che sale al 57,7% del
PIL, era al 48,6% nel 2019, collocandosi al secondo posto per peso dello Stato in economia dietro a
Francia (59,7%) e salendo di tre posizioni nell’arco di due anni, superando paesi scandinavi
caratterizzati da una elevata spesa per welfare come la Danimarca, che era al 4° posto nel 2019 e
oggi scende al 5°, la Norvegia che era al 3° posto nel 2019 mentre oggi scende all’8° e il Belgio che
era al 2° posto due anni fa e nel 2021 occupa la 3° posizione. Vanno, inoltre, tenuti in debita considerazione alcuni elementi afferenti la pubblica Amministrazione che zavorrano la competitività delle nostre imprese. Primo fra tutti la pressione fiscale.

Punti di forza delle piccole imprese

Dal concetto di “piccolo è bello” (Schumacher E.F, 1973) è passato quasi mezzo secolo e, nel corso degli ultimi vent’anni, il mainstream dell’analisi economica ha intensificato la critica sull’elevata
presenza di piccole imprese nel nostro Paese, spesso con posizioni ideologiche. Anche nel dibattito politico sui temi economici frequentemente emergono posizioni pregiudiziali nei confronti delle piccole imprese, che talvolta riverberano anche in documenti ufficiali di finanza pubblica. A seguire si presenteranno alcune evidenze sulla forza del sistema delle piccole imprese italiane, articolate sui temi della crescita, dell’innovazione, della qualità del prodotto, del lavoro e coesione sociale, della diffusione territoriale e delle relazioni. Il sistema imprenditoriale italiano è caratterizzato da una elevata presenza di piccole imprese, assetto che fornisce all’economia italiana una specificità che non ha paragone con le altre maggiori economie europee, come si evince dalla tabella seguente.

Crescita

L’analisi dei conti nazionali mostra che la produttività reale per ora lavorata – misurata in termini di
valore aggiunto – è molto vivace negli ultimi venti anni nell’Eurozona, dove nel 2020 segna un
aumento del 19,9% rispetto al 2000, mentre l’Italia si ferma sul +5,6% ed è ultima tra i maggiori
paesi dell’area a valuta comune che registrano tutti una crescita a doppia cifra: in Germania del
+20,6%, in Francia del +18,6% e in Spagna del +16,3%. Il manifatturiero italiano, tuttavia, segna un ragguardevole +24,1%.

Innovazione

Le attività di ricerca e sviluppo (R&S) rappresentano una variabile chiave per la valutazione della
competitività dei sistemi economici, consentendo di incorporare elevati contenuti di conoscenza
nella produzione di beni e servizi, con impatti positivi sul grado di innovazione e sulla produttività. La spesa in R&S attiva una domanda di lavoro con una elevata qualificazione: nelle imprese la quota di addetti alla R&S con laurea e post laurea è doppia rispetto alla media degli occupati in Italia. Più in generale, come si può notare dalla tabella seguente, l’Italia è tra i primi paesi innovativi per il tramite delle imprese con meno di 50 dipendenti. Il valore è in forte crescita rispetto ai precedenti periodi.

Qualità

Anche nel contesto caratterizzato dalla flessione del commercio internazionale determinato della
pandemia mondiale, il made in Italy ha mantenuto un profilo competitivo caratterizzato da una
crescente qualità della produzione manifatturiera. A giugno 2021, il valore medio unitario
dell’export manifatturiero, al netto dell’energia, cumulato negli ultimi dodici mesi è salito dell’1,5%
a fronte del +0,7% dei prezzi alla produzione sui mercati esteri, confermando la crescita della
qualità intrinseca dei prodotti del made in Italy, fenomeno caratterizzato da un migliore design, una
più alta qualità delle materie prime, l’introduzione di nuove funzionalità risultati dei processi di
innovazione e ricerca delle imprese.

Lavoro e coesione

L’artigianato e la micro e piccola impresa rappresentano fattori chiave di coesione economica e
sociale. Di particolare interesse la tabella seguente che pone in evidenza il maggior posizionamento di lavoratori artigiani nelle aree interne e montane.

Il mondo artigiano favorisce le lavoratrici, con una loro occupazione pari al 41,5% del totale, contro il 39,5% nelle imprese maggiori. Anche i giovani trovano migliori sbocchi, costituendo un quinto della forza lavoro (contro un ottavo per le più grandi).

Territorio

Per una pronta ripresa dell’economia italiana è necessaria la spinta della domanda estera. Il 2020 è
stato un anno difficile per la manifattura italiana, nel quale si è perso il 10% di vendite all’estero,
segnata da un recupero che ha rapidamente riportato l’export sopra ai livelli pre-pandemia.
Entrando nel dettaglio, tra le prime quaranta province per valore del made in Italy, il maggiore
dinamismo si registria ad Arezzo, con l’export manifatturiero che nel primo semestre del 2021 è
del 31,2% superiore a quello dello stesso periodo del 2019. Per la Toscana seguono Firenze e Lucca.

Nel complesso le 29 province con un pieno recupero dell’export rappresentano il 59,9% del made in Italy manifatturiero.

La tabella successiva riporta le prime 10 Regioni manifatturiere da cui deriva l’85,2% della crescita di valore aggiunto dal 2014 al 2019. Per la Toscana si registra un + 4,3%.

Relazioni

Lo sviluppo dimensionale delle imprese non avviene esclusivamente con un aumento della capacità
produttiva interna – con il conseguente aumento del parametro della dimensione media – ma anche
per linee esterne, attraverso fusioni/acquisizioni e soprattutto mediante collaborazioni e alleanze con
altre imprese. La propensione alle relazioni delle MPI è diffusa a livello territoriale, con una maggiore
accentuazione nel Nord Est (54,4%), Nord Ovest (53,4%) rispetto a Centro (50,6%) e Mezzogiorno
(49,3%). La Toscana non brilla, avendo poco meno della metà delle imprese MPI (49,3%) agganciate da relazioni, siano esse commesse, subfornitura, accordi formali e informali, relazioni varie. Si confronta con le Regioni del Centro al 50,6% e con l’Italia al 52%.

Conclusioni

Il mondo artigiano è stato colpito duramente, ma non sconfitto, da una crisi senza precedenti che ha
travolto il mondo intero. Il 16mo rapporto dall’eloquente titolo “Noi R-Esistiamo” ha scattato una ‘fotografia’ in cui prevale, di primo acchito, il colore nero. E’ assolutamente opportuno, però, ripartire da quei segni di forza, ben tracciati nel Rapporto, attraverso i quali si avrà possibilità di reagire. Lo confermano le analisi sull’impegno delle imprese a innovare e a diversificare la produzione, a sfruttare l’arma digitale per promuovere e vendere on line, fare formazione, mantenere vivi i rapporti con fornitori e clienti e rilanciare sulla transizione ecologica.

Intanto l’onere di essere la spina dorsale del sistema economico sta stimolando i nostri imprenditori a non arrendersi. Chi è in cerca di debolezze dovrebbe guardare altrove. E altrove potrà trovare un contesto che troppo spesso mortifica il talento e il coraggio degli imprenditori, le inefficienze e i ritardi storici del nostro Paese che
frenano da sempre la corsa degli imprenditori: poco credito, fisco esoso, burocrazia opprimente, scarsi investimenti pubblici, ritardi infrastrutturali, alti costi dell’energia, giustizia lenta.

Oggi abbiamo l’occasione di sbloccare questi meccanismi che ostacolano le energie degli italiani attraverso le opportunità del PNRR. Perché, come è stato adeguatamente evidenziato nel Rapporto, la ripresa, il rilancio del made in Italy si realizzano costruendo un nuovo modello di sviluppo, in una transizione che riconosca e valorizzi proprio il ruolo economico e sociale dell’artigianato e delle micro e piccole imprese.

La Toscana, dal suo canto, potrà rafforzare le relazioni tra imprese, importante presupposto per consolidare una crescita e distribuirne i benefici sul territorio. La strada è in salita ma non preclude la sua percorrenza.

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