sabato, Aprile 27, 2024

La “rivoluzione” della pop art in mostra a Palazzo Buontalenti

PISTOIA – L’impatto “rivoluzionario” di una corrente artistica capace di unire e sintetizzare linguaggi diversi, tra richiami alla pubblicità e ai miti contemporanei, echi dei movimenti d’Avanguardia e interpretazioni originali.

La nuova mostra organizzata da Fondazione Pistoia Musei a Palazzo Buontalenti propone un percorso espositivo tra le opere e gli autori più emblematici e significativi della grande stagione della pop art italiana nel corso degli anni Sessanta: un arco temporale piuttosto breve ma estremamente vivace e fervido di novità dal punto di vista artistico, con forti legami e influenze derivanti dai grandi maestri internazionali.

Fin dalle origini la pop art si configura come un fenomeno metropolitano che nasce a Londra nel 1956 e si sviluppa contemporaneamente a New York, Los Angeles, Parigi e Roma per poi diffondersi in tutto il mondo. In Italia la pop art si afferma a partire dai primi anni Sessanta prima a Roma e in seguito a Torino e a Milano, grazie ad artisti che guardano alla scena internazionale; ma è nei grandi centri urbani che la moderna società dei consumi e delle comunicazioni di massa rappresentata nelle opere pop si manifesta in primo luogo e in modo più evidente. I linguaggi della pop art sono consacrati dalla celebre Biennale di Venezia del 1964 e non si limitano alle grandi città italiane, ma si diffondono anche nei centri minori come Pistoia: qui opera in questi anni un gruppo di artisti che si confronta con gli altri autori attivi nel resto della penisola, aprendosi a influenze e contaminazioni.

Alcune immagini della mostra “60 Pop Art Italia” in corso negli spazi espositivi di Palazzo Buontalenti (fotografie di Giovanni Fedi)

Dopo una saletta introduttiva che mostra le tappe principali della storia dell’arte italiana tra il 1960 e il 1968, la prima sala del percorso espositivo è dedicata alla già citata Biennale di Venezia del 1964, alla quale partecipano quattro artisti americani che anticipano la pop art e che per la prima volta vengono presentati in maniera completa in Italia: Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Jim Dine e Claes Oldenburg.

Tali autori, portatori dell’espressionismo astratto e di nuovi linguaggi, producono immediate reazioni sulla scena artistica italiana, come nelle opere di Mimmo Rotella o Roberto Crippa che danno vita a decollage su tela o collage su tavola con riproduzione di personaggi iconici di quegli anni come il presidente statunitense John Kennedy o la diva Marilyn Monroe.

Si passa poi alla nuova generazione degli artisti della scena romana racchiusi nella cosiddetta “scuola di Piazza del Popolo”, che a inizio anni Sessanta sono tra i principali interpreti in Italia della pop art e dei suoi temi. Si segnala la presenza femminile di Titina Maselli che si confronta con il cinema rielaborando icone come l’attrice Greta Garbo, mentre Sergio Lombardo estrapola dalle fotografie i profili di politici come il segretario della difesa statunitense Robert McNamara. Richiami alla politica e alla realtà del presente si mescolano a soluzioni più liriche ed evocative con opere che si ricollegano alle correnti dell’espressionismo e dell’astrattismo, come nelle tele di Franco Angeli o di Mario Schifano.

La terza sala è dedicata al rapporto tra la pop art e i grandi modelli dell’arte del passato, un aspetto che in Italia è avvertito con particolare urgenza e interesse: nelle opere pop i riferimenti all’arte dei secoli precedenti dialogano con le allusioni alla cultura e alla società contemporanea. Gli anni Sessanta rappresentano per l’Italia e non solo l’apice di quella società di massa e dei consumi che porta a una ridefinizione dei vecchi schemi, una società nella quale “una bottiglia di coca-cola assume lo stesso valore iconico della Gioconda”.

Ecco allora le opere di Tano Festa o Giosetta Fioroni in cui le sculture di Michelangelo o la famosissima Venere del Botticelli assumono nuova forma e sostanza, attraverso un processo di rielaborazione e di loro presentazione in una veste nuova, in parte debitrice al mondo della comunicazione e della pubblicità in quegli anni.

Ma pop art significa anche mutamento e rivoluzione nei materiali utilizzati: è una corrente in cui gli oggetti quotidiani sono privati della loro funzione originaria, sono tolti dal contesto per il quale erano stati progettati e diventano così degli strumenti per creare immagini nuove, assumendo un valore artistico.

D’altro canto l’onda del consumismo con l’individuo stesso che diventa merce produce in molti artisti un forte senso critico, come nella sala successiva dominata dalla tela di Mario Schifano in cui l’autore accompagna celebri loghi della Coca-Cola o di Esso con la scritta “tutta propaganda”: una dura presa di posizione contro una società dei consumi e l’affermazione di uno stile di vita americano che in molti avvertono come estraneo e poco sostenibile.

Si passa poi alle vivaci pitture dei quattro autori della cosiddetta “Scuola pistoiese”, un caso abbastanza interessante e singolare nel panorama italiano, con la presenza in questo piccolo capoluogo di provincia di artisti capaci di rielaborare ciascuno in maniera originale e personale le sollecitazioni e le influenze provenienti dall’esterno in un linguaggio artistico fortemente riconoscibile.

Roberto Barni simula una pittura quasi astratta nelle riproduzioni di piante di città e si dedica alla rappresentazione dei simboli che rimandano ai ritmi della vita moderna come treni e autostrade; Umberto Buscioni predilige un linguaggio più poetico e gli oggetti come cravatte, motociclette e bandiere che ricorrono spesso nei suoi dipinti, alludendo a un mondo insieme privato e pubblico; Adolfo Natalini parte dall’immagine fotografica per sintetizzare in maniera estrema le figure e conferire un valore iconico a personaggi e situazioni; Gianni Ruffi si muove tra natura e artificio per giocare con essi attraverso ironie e doppi sensi. Proprio di Ruffi è “Mare a dondolo”, una delle opere più curiose e appariscenti della mostra, che riproduce attraverso una scultura di legno dipinto il movimento incessante delle onde, conferendo un tono quasi “fiabesco” con le sue armonie colorate.

Si arriva poi alla sala dedicata al fenomeno dell’arte “povera” e del gruppo di artisti, formatosi a Torino già sul finire degli anni Cinquanta, presso i quali avviene l’incontro tra i linguaggi della pop art e temi di carattere “popolare” tratti dalla semplice vita quotidiana.

La penultima sala è dedicata al “gruppo milanese” capeggiato da artisti come Enrico Baj e Lucio Fontana, che risultano particolarmente influenzati dagli autori francesi del “nouveau realisme”; ma non mancano interpreti meno noti ma altrettanto significativi come Antonio Fomez, che nelle sue tele evidenzia l’impatto dei prodotti di consumo e della pubblicità nell’immaginario collettivo, o Paolo Baratella, che nei suoi collage inserisce le icone mondiali di quegli anni come il “solito” Kennedy.

Da un capo all’altro dell’Italia nel segno di un’arte nuova: l’ultima sala è dedicata alla vivacissima scena culturale della Palermo degli anni Sessanta, città allora preda di forti problemi sociali ma capace di vivere una intensa stagione artistica. Lo dimostrano l’organizzazione di un convegno che sancisce la nascita del Gruppo 63, la punta più avanzata della ricerca poetica in Italia, la pubblicazione della rivista “Collage” e la realizzazione in due edizioni della mostra “Revort” che riunisce nel capoluogo siciliano i principali rappresentanti della pop art nazionale e non solo.

Spiccano in questa sala le vernici di Antonino Titone, che pongono in evidenza oggetti della più banale quotidianità e addirittura di abbigliamento intimo femminile, e i collage su tela di Roberto Malquori e Remo Gordigiani, veri e propri “mosaici” di cronaca recente in cui gli artisti inseriscono “ritagli” di riviste e quotidiani, con volti di personaggi della politica dello sport della musica del costume.

Chiudono il percorso espositivo due opere di artisti internazionali, “Flowers” di Andy Warhol e “Swingeing London” di Richard Hamilton: due testimonianze che confermano l’avvenuta evoluzione e maturazione della pop art e che con i loro colori vivaci e il loro stile fotografico aprono agli scenari “psichedelici” dei successivi anni Settanta.

La mostra resterà visibile al pubblico negli spazi espositivi di Palazzo Buontalenti fino al prossimo 14 luglio.

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